LA LUMINOSA IMPERFEZIONE DEL BUIO
Intervista a Vito Moretti, autore del romanzo “Le ombre adorne”

L’intervista è stata pubblicata nel mese di ottobre 2016 sul quotidiano “Il Giornale d’Abruzzo”: http://ilgiornaledabruzzo.it/2016/10/03/la-luminosa-imperfezione-del-buio-intervista-vito-moretti/

Con il romanzo “Le ombre adorne”, edito dalla casa editrice Tabula Fati, Vito Moretti ha vinto il Premio letterario di narrativa edita “Vittoriano Esposito”, nella sezione “migliore autore abruzzese”. La cerimonia di premiazione si è svolta domenica 25 settembre a Celano. Scrittore, poeta in lingua e in dialetto, saggista, Vito Moretti è una delle voci più autentiche e rilevanti della letteratura abruzzese contemporanea.
Ci salutiamo con la gioia di due amici che si rivedono dopo tanto tempo, non nascondendo, nei gesti e nelle parole, la consuetudine di un’amicizia in verità giovane, ma spontanea, sincera e ricca di quelle sfumature profonde e intense che solo le ragioni del cuore sanno pronunciare e rendere evidenti. I suoi occhi sorridenti e curiosi trasmettono un’umanità bonaria e indulgente, un’ironia sagace, e le parole scorrono in fretta, senza seguire il canovaccio delle domande. Parole di un pomeriggio settembrino in un caffè, discorsi senza tempo che la mente appunta più in fretta della biro.

Com’è nata l’idea di questo romanzo?
Sicuramente c’è un filo che lega “Le ombre adorne” a “Il colore dei margini”, la mia raccolta di racconti edita nel 2014. Nei racconti, infatti, avevo proposto una carrellata sui mali del mondo contemporaneo e già allora avevo annotato come uno di questi fosse quello che Berto chiamava “il male oscuro” del Novecento. Nel romanzo, il protagonista, Diego, è un uomo che ha avuto una vita tranquilla, un amore ricambiato, un rapporto familiare normalissimo; ecco che, però, di colpo, si trova ad essere da solo. Questa sua condizione di solitudine si trasforma in una patologia psicologica. Intorno a questa malattia, a questo disagio, ho costruito l’intera vicenda.

Il titolo dice tanto di ogni libro: perché “Le ombre adorne”?
Le ombre sono le ombre della malattia, del disagio. Ma sono anche “adorne” perché credo che ogni uomo abbia la possibilità di uscire alla luce, che il buio non sia mai eterno, che ci sia il modo di redimersi, di ritrovare la gioia perfino nelle situazioni più difficili per riscoprire il bello della vita. Sono convinto che anche il muro più solido abbia una fenditura dalla quale si intravede la luce.

La storia è costruita come romanzo nel romanzo, con una narrazione a cornice talvolta talmente lieve e impercettibile da creare un vero e proprio incastro di anime tra personaggi lontani e sconosciuti a un tempo.
C’è un gioco tra due mondi: Diego, attraverso i racconti di una sconosciuta, rivive le vicende con la moglie, ricorda la propria infanzia, gli amori, i momenti particolari della sua vita. In qualche modo, tramite un misterioso quaderno, il romanzo di lei si intreccia con quello di lui e i due racconti diventano un tutt’uno, una sola storia.

Nel romanzo la lettura diventa strumento terapeutico, più che la scrittura. Leggere è aprirsi al
mondo, è ascoltare l’altro, è lasciare il proprio io per volgere gli occhi in un’altra direzione.
Sembra quasi che l’autore voglia indicare nella lettura la chiave per uscire dall’isolamento,
dalla solitudine…
E’ vero. Io ho sempre creduto nel ruolo fondamentale, formativo e culturale, della lettura. Per me, in generale, la letteratura salva, salva la bellezza delle parole, degli strumenti che trasmettono i concetti e la possibilità di redimersi. Perciò la bellezza salva, quando si fa tramite, attraverso le parole, di mondi possibili.

L’intera storia potrebbe leggersi come un viaggio alla ricerca di sé da parte del protagonista, una ricerca sì personale, ma anche universale, sull’essere umano. Questa indagine porta Diego a interrogarsi su se stesso, sulla fragilità umana, sul senso dell’amore, del dolore, della vita.
Credo forse di essere avvantaggiato perché vengo dalla poesia. Io mi interrogo e mi sono sempre interrogato attraverso la poesia. La poesia, per me, ha una funzione illuminante, si interroga, chiede, anche se non sempre può arrivare a delle conclusioni, non sempre può fornire delle risposte. Nel romanzo rifletto sulla morte, sulla vita, sull’amore… In tal senso, un ruolo importantissimo lo svolge il medico, che sprona e incoraggia il protagonista.

Possiamo dire, quindi, che il medico sia il tuo personaggio preferito?
Diego è un personaggio che mi appassiona perché soffre e torna alla vita attraverso una personale tribolazione. Però, in effetti, se dovessi dire a quale personaggio somigli, direi al medico, per la sua filosofia di fondo, per il carattere, per la sua saggezza interrogativa. Chi si interroga sulle cose ha in sé una saggezza che è ammirabile e che lo porta ad essere già a metà strada verso la verità.

Anche in questo romanzo la componente lirica occupa un ruolo di primo piano. Dunque, il Vito Moretti narratore non prescinde dal Vito Moretti poeta. C’è differenza nel tuo accostarti alla parola poetica rispetto alla narrazione in prosa?
No, non c’è nessuna differenza. Io sento la densità della parola allo stesso modo, sia che scriva una poesia sia la pagina di un racconto. Dante Maffia, durante la cerimonia del Premio “Vittoriano Esposito”, ha sottolineato come la carica lirica della mia scrittura sia evidente anche nelle opere di saggistica e di critica letteraria. Credo che nessuno di noi possa svestirsi dell’abito che indossa: e un poeta rimane se stesso sempre.

Nicoletta Fazio